LA RICOSTRUZIONE

Com’è d’uso, l’Italia è il paese più colpito dalle calamità naturali, il più aiutato nei momenti difficili e, ovviamente, quello che affida l’incarico più gravoso a una figura di alto rango, la cui nomea non può lasciare indifferenti.

Così, il presidente della repubblica Mattarella ha convocato Mario Draghi, l’eccellenza economico finanziaria italiana, riconosciuta tale in Europa e nel mondo, a gestire l’era COVID: non solo la rinnovata emergenza sanitaria ma, e soprattutto, quella economica e sociale diretta conseguenza dell’epidemia. Tutti i partiti, tranne l’estrema destra e, individualmente, Onorevoli e Senatori di tutte le forze politiche e gli schieramenti, votano la fiducia al governo del presidente. Questa risoluzione ha evocato ogni sorta di commento, non solo nel Parlamento e prese di posizione ancorate ad antiche parole d’ordine, come a invecchiate ideologie ‘liberali’.

La sola ventilata ipotesi del successo di questa ipotesi di lavoro, dà luogo a una sottaciuta ma generale euforia, riscontrabile non solo nel tono delle interviste all’’uomo della strada’, ma anche nei talk show, sia nella struttura dei programmi sia nell’interpretazione dei conduttori. E nei mercati finanziari.

Fatto sta, che la maggioranza ottenuta da Draghi alla Camera è di 553 contro 56 contrari. Mentre al Senato è 262 contro 40.

Maggioranza bulgara, a detta dei detrattori.

Il ‘programma Draghi affronta quasi tutte le spine che tormentano da sempre l’Italia: il gap salariale di genere, quindi la formazione e la scelta famiglia-lavoro cui è costretta la donna, cosa che cambierà anche grazie ai 248 miliardi in 6 anni erogati dalla UE. Uno dei disegni che non può passare inosservato è la riduzione delle emissioni di CO2 fino a raggiungere lo 0 per il 2050.

In uno scenario del genere, popolo e classe dirigente, si producono in sperticamenti di ogni sorta, pro e contro.

Comincia, nei fatti, la ricostruzione dopo la crisi.

C’è chi considera Draghi come un ‘analgesico politico’: in una società abituata al lutto, abituata alla crisi, è facile che scivoli nel conformismo dell’adesione acritica a ogni cosa che venga espressa dal potere. Cosa possibile, quando tutti sono d’accordo su di una linea di condotta della crisi e la politica non propone un’alternativa coerente. Perciò, la critica dei politici all’operato dei ‘tecnici’ si risolve in un commento formale, in genere occhiuto e vano. Siamo appena all’inizio della fine dell’epidemia – numeri alla mano – e tutti sono pronti all’uscita dalla crisi: cosa ci aspetta? Da aborrire è che ci si adagi nella rete di protezione imposta dalla pandemia: l’obbligo del lavoro da casa, un tempo appannaggio dei manager è un privilegio? Un obbligo dettato dalle circostanze? Va regolamentato a livello europeo, come quasi tutto quello che concerne la sicurezza della salute.

Emergono i migliori. Fa parte del normale avvicendamento del personale nei servizi pubblici e no, oppure la crisi della politica non permette più interferenze? O fa parte della guarigione?

Si vedrà finché dura.

La gestione della guarigione da un’epidemia, consiste nella gestione di un’umanità che guarisce. Questa è la realtà della terza ondata di contagi (che molti considerano una ‘coda’ della seconda).

 

PSICOLOGIA DELLA GUARIGIONE

Per Paul Claude Racamier, psichiatra e psicanalista francese, la crisi psicologica è vissuta come una distruzione interna, un sentimento di fine e di morte ed è seguita, nella maggior parte dei casi, quando evolve verso la risoluzione, da un sentimento di rinascita. Il processo di crisi rende la personalità più fluida e dà una possibilità maturativa (Racamier, 1985; 2010). 

Ad ogni crisi, non solo quelle primariamente psicologiche o psichiatriche, segue un rinnovato amore per la vita, l’elan vitale rifiorisce, dopo l’appannamento a tonalità depressiva dovuto allo squilibrio della malattia. Nel caso della pandemia, il fatto che coinvolga tutti, non solo i malati o chi ha perduto il lavoro, comporta che la risposta sia collettiva, come ben esposto nelle cronache post pandemiche dell’Italia del XIV sec., i cui figli, in senso ‘anagrafico’, realizzarono il Rinascimento. Si cita la 2°Guerra Mondiale, con esplicito riferimento al boom economico degli anni che seguirono, come esempio della quasi innata capacità di resilienza del popolo italiano. Più che innata direi comune e naturale, ammesso e non concesso che la resilienza possa essere manipolata a piacere.

Si vedrà se la parola resilienza è stata usata come sinonimo di resistenza o effettivamente le risorse di un popolo perseguitato sono universali e trascendono il tempo.

 

 

 

IL VACCINO

 

Il vaccino rappresenta la via di prevenzione alle infezioni più studiata ed evoluta della concezione medica attuale. Già Esiodo, nell’VIII sec, a. C., asserendo che Non c’è colpa né intervento del dio nella genesi delle malattie, poneva le basi della filosofia naturalistica e del concetto parassitario delle malattie. La concezione medica razionale, che deriva dalla filosofia di Esiodo, svincolava la medicina dalle speculazioni filosofiche; bisognerà però attendere il XIX secolo perché si imponga il concetto batteriologico, quando Koch identificò il bacillus anthracis causa dell’antrace e il mycobacterium tuberculosis agente infettivo della tubercolosi. Insieme a Louis Pasteur, Koch fu il fondatore della microbiologia. Oggi, con i paradossi ideologici della psichiatria, sono identificati tutti o quasi gli agenti infettivi delle maggiori malattie, per le quali si ricerca l’antibiotico più efficace.

La novità nell’azione degli scienziati e delle case farmaceutiche nella risposta all’epidemia di COVID 19, è consistita nella, sconosciuta finora, rapidità dell’azione nella produrre un vaccino, anzi sei, con caratteristiche tali da essere prodotto in larga scala e diffusa in TUTTO il mondo.

Infatti, a un anno dalla prima diagnosi di COVID 19, il 22 dicembre 2019, viene autorizzato, dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) l'immissione in commercio del vaccino anti COVID-19 Pfizer/BioNTech. Questa rapidità è stata possibile grazie a una modalità di raccolta dei dati­­, la rolling review, cioè la revisione continua delle osservazioni sulle reazioni avverse dei vaccini, seguendo i parametri dell’EMA che avviò questa metodica per il vaccino Sputnik V. Questo ha reso possibile studiare contemporaneamente più vaccini, validando i dati in tempo reale concentrando le 4 fasi degli studi farmaceutici,

·       Fase 0: farmacocinetica.

·       Fase I: sicurezza clinica.

·       Fase II: studio di efficacia.

·       Fase III: studio multicentrico.

Questa innovazione, resasi essenziale per il controllo di un’epidemia è stata possibile anche alle tecnologie acquisite negli ultimi anni, come calcolatori quantistici e centri unici per l'aggregamento dei big data: una prova del nove del meglio del meglio delle conoscenze tecnologiche e scientifiche raggiunte nel 2020.

 

Malgrado i vaccini stimolino una risposta immunitaria differente a seconda della tipologia dei pazienti, siano anziani, immunocompromessi o portatori di più patologie, la vulgata ha già stilato una classifica dei ‘migliori’. Così nascono le fake news. Abbiamo tutti presente le disgrazie del vaccino di Astra Zeneca. E qui si è potuto vedere la genesi di una fake new: il sofisma fallace post hoc ergo propter hoc, dopo di ciò quindi a causa di ciò, viene imposto alle masse grazie alla denuncia di un decesso per presunto effetto collaterale della vaccinazione, occorso 18 giorni dopo questo e di un giovane morto invece poco dopo. Poi, nonostante le autopsie abbiano escluso il nesso di casualità diretta con la vaccinazione.

Una cricca di bulimici del denaro ne approfitta per sterminare l’umanità: questo è il pensiero di molti negazionisti.

Un vaccino è un’arma: chi ce l’ha e chi deve concederlo. Nascono intorno a questo, lotte tra i big che si spartiscono il mercato, di farmaci e dell’indotto sotto il rigido controllo di chi ha interesse a mantenere o spostare gli assetti geopolitici. Le gerarchie sociali e geopolitiche si giocano così sui vaccini.

Autorizzare uno stato a produrre un vaccino, proprio o altrui, significa un ingente quantità di soldi che piovono (è il caso di dirlo) sui vari attori della gestione della pandemia, dai governi alla logistica. 

I BREVETTI

Dai vaccini antipolio di Salk e di Sabin negli anni 60 del secolo scorso, il vaccino è considerato l’approdo tecnologico più moderno che conclude ogni epidemia, a cominciare da quella stagionale influenzale. Con il COVID19 la comunità scientifica e l’industria si è dovuta confrontare con un prodotto da fornire in centinaia di milioni di dosi per un mercato di quasi 8 miliardi di persone.

Vexata quaestio, quella della proprietà intellettuale di una cura vaccinica per una malattia di grande impegno delle risorse, mobili (…) e immobili, di media letalità ma grande diffusione. I brevetti dei vaccini patrimonio dell’umanità è, a mio avviso, uno slogan che potrebbe portare a gravi danni non solo sociali. Oggi una tecnica qualsiasi ha un nome e un cognome, grazie alla proprietà intellettuale. Nella fattispecie, concedere l’uso della tecnica per la ‘costruzione’ di un vaccino, determina, oltre ai milioni di dosi già vendute, un’assunzione di responsabilità per gli effetti collaterali noti ed eventuali. Su questo verte lo scontro tra commissione UE e case farmaceutiche. La vicenda è ben spiegata qui. Dopo aver letto questo irritante articolo, cambiano le considerazioni sugli eventi che hanno caratterizzato questo periodo. La denuncia dei parenti del presunto decesso per vaccino ha acceso i riflettori su Astra Zeneca e portate allo scoperto le sue pretese nella trattativa con la UE. Pretese non economiche ma di responsabilità giuridica per gli effetti collaterali noti. E quelli non noti o sporadici? La Commissione si era battuta per una liability (responsabilità) all’europea: lo Stato assume su di sé la responsabilità giuridica per gli effetti imprevedibili e imprevisti del vaccino, che sono possibili sia pure molto rari e la compagnia resta responsabile in caso di colpa o dolo. Qui, va detto, ha giocato un ruolo importante nella diffusione della notizia il mondo NO VAX, contro vax e co., che vigilano, per statuto, su tutte le incongruenze della gestione della salute pubblica.

In tempi di pandemia se ne sono sentite di tutti i colori: il tema della morte come eventualità possibile ha sconvolto i programmi di ognuno e questo si è ripercosso sulle attività che, nel bene e nel male, ne hanno risentito.

Trovo un po’ inquietante che si parli dei guadagni di questo o di quello, o delle case farmaceutiche a fronte di 500 morti al giorno, blocco delle economie, relazioni sociali d’un tratto recise. Mi ostino a pensare che questa tregenda, piombata d’un tratto nella vita di tutti, non sia preferibile ai milioni che possa guadagnare chiunque abbia studiato, verificato, deciso di produrre e alla fine prodotto le milioni di dosi di un qualsiasi farmaco che ci liberi da questo incubo. Anche il pensiero diffuso che il solo possesso di UN brevetto (il famoso brevetto del vaccino) basti a produrre decine di milioni di dosi, d’emblée, senza pensare all’investimento in risorse umane altamente specializzate, logistica, mezzi, altri brevetti – che consentano la sopravvivenza di un’adeguata struttura, alle condizioni del committente

 

 

 

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